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  • Immagine del redattoreJ.C. CASALINI

IL SACRIFICIO DI WILLY

La morte del giovane Willy, originario di Capo Verde, non deve essere banalizzata perché scaturita dalla furia omicida delle quattro belve italiane che hanno martoriato il suo corpo dando sfogo alla loro aggressività. Il branco che lo ha ucciso, massacrandolo di colpi e calci, è accusato di omicidio preterintenzionale e concorso aggravato da ‘futili motivi’. Riporto non a caso le nazionalità perché, per quanto si debba ritenere ogni uomo degno di abitare questo pianeta, dobbiamo evidenziare come i pennivendoli al servizio di una corrente politica anti inclusione, sempre disposta ad indignarsi quando un reato è commesso da uno straniero, questa volta non abbiano sottolineato l’italianità dei delinquenti.

Il sentimento di sgomento, di rabbia e di rassegnazione disarmante per la drammaticità

dell’evento è comprensibile perché non trova una spiegazione soddisfacente nella stupidità dilagante di una frangia di cultori della violenza, convinti di un modello dell’uomo ‘forte’. Questa volta dobbiamo essere capaci di andare oltre la ragione per accettare una morale in grado di acquietare i nostri cuori affranti.

Chi conosce la dinamica dell’ego nello stolto sa bene come egli sia intrappolato dalla sua stessa imbecillità, tanto da doversi costruire una parvenza di solidità per nascondere un vuoto intellettivo, morale, culturale o spirituale facendo leva sulla soggiogazione dell’altro.

Si potrebbe procedere ad un approfondimento psicologico del violento tale da dimostrare che la vittima non è Willy, bensì gli aggressori che devono plasmare nel prossimo il volto del nemico per corroborare la propria esistenza, altrimenti insignificante, identificando un avversario qualunque, ricercato appositamente per lo scopo. Noi ci limiteremo a considerare gli antagonisti della vicenda come l’eterna lotta tra il bene e il male, dove questi concetti disposti sullo stesso piano dell’evoluzione di ogni essere umano sono innanzitutto essenziali entrambi per essere identificabili e valutabili in base alla consapevolezza del conseguimento di una coscienza collettiva, in equilibrio e in armonia con il Tutto: il bene (Willy) è vicino all’obbiettivo, il male (il branco) ne è distante.

La vita di ogni essere umano sarebbe l’occasione per uno splendido percorso illuminante verso l’equivalenza della forma con la sorgente dell’abbondante bene eterno, se non fosse che alcuni la sprecano. Come i quattro delinquenti nell’assecondare i propri desideri alla ricerca spasmodica di un piacere corporale e sensoriale, inconsapevoli del fatto che questo svanisce con l’appagamento dello stesso obbligandoli, così, in una esasperante e continua ricerca e sostituzione di altri piaceri, essendo costoro incapaci di gestire il frustrante vuoto che riappare ogni volta dopo il breve attimo di soddisfazione. Ci sarebbero tutti gli elementi per denotare un quadro psichico interessante per la loro instabilità emotiva. Ora nasce un quesito da porre alle istituzioni: perché per il rilascio di un porto d’armi ci si attiene ad un decreto del 28 aprile 1998 (GU 143/98) con cui si valutano scrupolosamente i requisiti psichici del richiedente come l’assenza di disturbi mentali, di personalità e del comportamento, ma non per le arti marziali che possono essere altrettanto mortali quando l’intenzione è aggressiva?

La soddisfazione del branco dopo la vergognosa lotta impari è stata addirittura divulgata sui socials senza alcun rimorso o pentimento, con il consenso dei followers che non si sono risparmiati con scritti inneggianti l’odio razziale. È questa la loro superiorità? Avranno tutti il tempo di pensarci, soprattutto i colpevoli della morte di Willy, sperando e pregando che il periodo di detenzione in carcere sia abbastanza lungo perché possano redimersi.

La morte di Willy viene svilita se è esaminata e valutata come l’epilogo dei ‘futili motivi’ degli aggressori. Dobbiamo ribaltare il punto di vista per riuscire a considerarla come la conseguenza del gesto eroico di un ragazzo coraggioso, espressione dell’affabile nuova generazione. Soltanto così la sua morte trova la sua esaltazione positiva: Willy è morto per una giusta causa, per tutti noi, per la salvaguardia dei valori di una società pacifica, amorevole e solidale dove il bene prevale sul male. Il suo sacrificio nel difendere il suo amico, che era stato preso di mira inizialmente dal branco, ha un grande valore solo se ne cogliamo la bontà del gesto, nella forza ispiratrice della sua reazione. Willy sapeva sorridere alla vita perché era consapevole dell’amore per gli altri. Egli deve rimanere di esempio per tutti, in eterno, compresi i colpevoli di tanta violenza.

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