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  • Immagine del redattoreJ.C. CASALINI

AFGHANISTAN E IL DOLLARO

Aggiornamento: 4 set 2021

Ci sono voluti poco meno di 10 giorni perché i Talebani entrassero a Kabul dopo che, l'attuale Presidente degli Stati Uniti d'America - era l'8 luglio - aveva formalizzato il rientro a casa del contingente militare americano entro il 31 agosto, benché il ritiro dei soldati a stelle e strisce stava già avvenendo in segreto da settimane, preoccupati della situazione diventata incontenibile di fronte ad un nemico inarrestabile. L'esercito ufficiale afghano composto da 300.000 uomini addestrati ed equipaggiati dagli americani si era dimostrato inadeguato nel fronteggiare la pressione dei Talebani che avanzavano verso la capitale. Nell'impossibilità di sovvertire le sorti di una guerra iniziata venti anni fa, gli Americani si sono ritirati nel disordine più totale, senza accordarsi con chiarezza con gli alleati per un'evacuazione coordinata e ordinata in tempi plausibili. A fine operazione, sono rimasti a terra oltre 85 milioni di dollari in equipaggiamento militare, 600.000 armi leggere, 75.000 veicoli, 200 aerei ed elicotteri Black Hawk (1), ora nelle mani dei Talebani. Le immagini del caos all'aeroporto di Kabul difeso dagli americani con i disperati che cercavano di salire sui C-130 in decollo, i giovani che si aggrappavano ai carrelli degli aerei in partenza e i genitori

che imploravano di sfollare almeno i loro figli sono un insulto alla dignità umana. Anche i Talebani non rispettano i diritti umani, soprattutto delle donne, cosicché non si capisce più chi sia nel giusto perché l'uno è lo specchio dell'altro nell'odio per il prossimo.

Se tutto questo è potuto accadere è perché gran parte degli Afghani era diventato ostile alla presenza militare straniera, soprattutto americana. D'altronde il tentativo di diffondere la democrazia, condividere la tecnologia e portare il benessere alla popolazione locale strideva di fronte alla morte di oltre 70.000 civili (2) per i bombardamenti, gli attentati, il fuoco amico, le mine antiuomo, le rappresaglie, gli abusi, le violenze sessuali e gli attentati. Per ultimo, ad aggravare il bilancio delle vittime si è aggiunto l'attacco suicida all'aeroporto di Kabul da parte dell'ISIS Khorashan, abbreviato in Isis-K, IS-K o ISKP (3) a dimostrazione che un conflitto asimmetrico non è l'antidoto per la debellatio del terrorismo e dell'estremismo religioso.

Abbiamo avuto l'ennesima prova di come il sostegno politico ed economico e la presenza militare di una potenza armata nel territorio straniero vengono percepite come invasione, quand'anche fossero accompagnati da una iniziale accoglienza ed euforia nell'illusione di una libertà ritrovata. La Russia ne aveva già pagato le conseguenze con l'invasione dell'Afghanistan nel 1979 (4) nel tentativo di mantenere stabile l'area geopolitica dei suoi confini. Come potevano pensare gli Americani di coltivare l'amicizia degli Afghani presidiando i punti strategici del paese, e soprattutto mantenerla con il loro ritiro che suona come un tradimento alle promesse fatte? Peraltro l'immagine che tutti ci eravamo fatti del soldato statunitense, disposto a sacrificare la propria vita per liberare l'Europa dal nazismo, a partire dallo sbarco in Normandia nel 1944, sostenuta anche da una patinata presentazione cinematografica dell'eroe sempre vincente sul male, si era già incrinata con l'ingerenza politica americana negli anni '50 in Corea (5), a seguire Filippine Egitto, Iran, Guatemala, Laos, Siria, Indonesia, Libano e, a seguire, Congo, Repubblica Domenicana, Cuba, Brasile, Grecia, Bolivia, Cile, Polonia, El Salvador, Nicaragua, Grenada e Panama (6). Ma è stato certamente il bombardamento al napalm e la presenza militare nel Vietnam (7) dagli 'anni 60 a indignare l'opinione pubblica e a frantumare definitivamente l'immagine del soldato americano 'buono'. Oggi, il soldato americano viene considerato da molti come una ingenua pedina, cieca obbediente, di una cinica egemonia politico-economico-militare intenta a salvaguardare prioritariamente la propria posizione dominante nel mercato globale. Con gli interventi in Kuwait, Haiti, Iraq, Jugoslavia, Yemen e per ultimo Afghanistan ogni dubbio è stato fugato.

Ora chiediamoci: cosa è cambiato nell'intenzione degli Stati Uniti d'America dallo sbarco in Normandia a Kabul? Semplicemente nulla. L'avidità economica è sempre stata la forza propulsiva in ogni intervento militare degli USA. Julian Assange che aveva divulgato nel 2010 gli 'Afghanistan Papers' in rete (8), documenti top secret e scottanti sulla guerra in Afghanistan dell'allora presidente Obama, ha recentemente dichiarato che 'la guerra sarà senza fine perché ha lo scopo di ripulire il denaro (dei contribuenti) fuori dalla tassazione americana ed europea per girarlo in operazioni di sicurezza transnazionale (9)'. Quindi al di sopra delle leggi sovrane di ogni paese, esattamente come agisce un sistema mafioso basato sul narcotraffico.

Se qualcosa è cambiato in questi decenni è la nostra percezione della realtà diventata sempre più acuta, perché abbiamo iniziato a togliere i veli della menzogna propagandistica utilizzata ad arte per ottenere, in primis, l'approvazione dell'opinione pubblica nelle operazioni militari con l'inevitabile spargimento di sangue e, in secundis, per ottenere il consenso nella disposizione di ingenti somme di denaro per missioni oltre frontiera, sacrificando investimenti che sarebbero stati più utili per la collettività. Il costo delle guerre e dei suoi effetti collaterali nelle economie di tutto il mondo ammonta a circa 14 trilioni di dollari all'anno, corrispondente al 12,6% del Pil Mondiale (10). Cifre esorbitanti che potrebbero essere utilizzate per risolvere la fame nel mondo o passare ad una energia per tutti, priva di emissioni inquinanti. Sappiamo ora per certo che dietro ogni discorso dei vari presidenti eletti alla Casa Bianca si nascondeva in realtà l'egoismo nazionale nel contesto di un sistema capitalistico che si apprestava alla sua evoluzione neoliberista con cui, oggi, tutto è permesso. Essendo venuta meno la minaccia del fronte ideologico filo-comunista, oggi trasformato in una economia socialista di mercato, agli americani e al mondo intero è stato proposto un nuovo nemico per giustificare ogni nuova azione bellica e per rinnovare un orgoglio nazionale e di identità giudaico-cristiana: il Terrorismo islamico.

Tuttavia, l'ultimo velo da togliere per comprendere come gira il mondo non è soltanto nel seguire la traccia dei soldi spesi come ci ha insegnato Falcone nelle sue indagini mafiose. Quando sono i bigliettoni verdi ad essere la materia prima, si deve risalire fino alla sorgente della loro immissione nel mercato globale. Scopriamo così che la punta superna del triangolo 'Money-Wars-Commodities' è la Federal Reserve (11), istituzione privata sotto il fantomatico controllo del Governo americano. Il Dollaro viene stampato, ovviamente a spese del contribuente, attraverso l'emissione dei 'Tresury' i titoli di stato degli Stati Uniti d'America garantiti dalla Fed per un valore netto corrispondente.

(Proverbi 22:7) "Il ricco signoreggia sui poveri, e chi prende in prestito è schiavo di chi presta". Al prestatore e all'usuraio non importa come viene speso il denaro ora in mano al debitore, a loro conta che venga speso per qualsiasi motivo. Se viene sprecato è addirittura meglio fintanto che non venga compromessa la stabilità economica e, quindi, l'onorabilità del debitore. I costi per una lunga guerra, i profughi, i rifugiati, le opere pubbliche, progetti inutili, una pandemia continua, un disastro ecologico, altri impegni o sofferenze mantengono lo Stato debitore in un'asfittica crisi economica per essere obbligato a richiedere ulteriore credito ed essere schiavo.

Lo aveva capito J. F. Kennedy che, con l'atto 111110 del 4 giugno 1963 (12), decise di stampare dollari garantiti da certificati nazionali e vincolati all'argento di proprietà degli Stati Uniti d'America, e di liberarsi dal ricatto della Federal Reserve che premeva certamente per la guerra nel Vietnam. Pochi mesi dopo, il 22 novembre dello stesso anno, fu ucciso a Dallas. Nel 1964, lo sostituì il presidente guerrafondaio Johnson il quale aumentò gli investimenti militari a sostegno del nuovo assetto politico del Vietnam del Sud e ordinò il sistematico bombardamento nel Vietnam del Nord (13).



Immagine: composizione digitale dell'autore



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